Sarebbe improprio definire Faccio quello che voglio un semplice “brano”: è piuttosto un cortometraggio con una canzone che fa da colonna sonora e da collante tra i dialoghi e le scene.
Insieme a Rovazzi cantano anche Emma, Nek e Al Bano, sebbene figuri fisicamente solo quest’ultimo. Inoltre partecipano molti altri personaggi celebri della televisione, ciascuno in un momento ben preciso della trama.
Il significato del testo risiede nel fatto che, al giorno d’oggi, attraverso i social ciascuno di noi ha la chance di sentirsi una celebrità, pur senza mettere in pratica alcun talento in particolare.
Rovazzi gioca molto sulla propria reputazione di “non talentuoso”, particolarmente forte all’inizio della sua carriera da cantante con il brano Andiamo a comandare. Il cantante, infatti, pur avendo raggiunto un enorme successo, ha sempre riconosciuto di non avere grandi doti vocali né di essere particolarmente acculturato in fatto di musica.
L’artista si è poi cimentato nel settore che gli è più congeniale, ovvero quello cinematografico, recitando a inizio 2018 nel film Il vegetale come attore protagonista.
Riprendendo il proprio talento in fatto di cinematografia, Rovazzi ha scritto e interpretato la storia di Faccio quello che voglio, che è la seguente.
Come spiega Gianni Morandi all’inizio del video, la più grande paura di tutti gli artisti è quella di perdere il proprio talento, per cui è stata inventata una sorta di “banca dei talenti” in cui ciascuno può conservare la propria peculiarità sottoforma di liquido in boccetta (per il talento vocale) o di pillola (per l’aspetto fisico).
L’aspetto delle boccette sembra essere fortemente ispirato alle pozioni “Shield” del videogioco Fortnite.
Rovazzi decide allora di appropriarsi di quanto più talento possibile, organizzandosi per scassinare il caveau della banca, in quanto – come confessa a Morandi – si trova in un periodo di mancanza di ispirazione.
Come dichiarato dall’artista stesso, ciò rispecchia (o ha rispecchiato) in parte la realtà, poiché:
«[…] tutto quello che dico nel video, niente è a caso. Tutto quello che dico ha sempre un sottosignificato e molti li capisco solo io».
—Fabio RovazziFonte: SoundsBlog
Mentre il doppiatore Roberto Pedicini narra la storia, scorrono le immagini di come funziona la banca dati, mostrando Fabio Volo e Rita Pavone mentre depositano il proprio talento.
Inizialmente la location delle vicende sembra essere ambientata in una metropoli futuristica, ma poi Rovazzi decide di cambiare il copione e chiede a Pedicini di narrare la storia più semplice che avevano concordato, spostando quindi il set nei dintorni del duomo di Milano.
Ad accoglierlo alla reception della banca c’è Massimo Boldi, al quale Rovazzi spiega di essere del servizio pulizie e di dover rassettare il caveau. Inizialmente, infatti, Boldi aveva cercato il nome di Rovazzi nella banca dati dei talenti, notando che risultava “senza talento” e che quindi avrebbe avuto l’accesso negato.
Per accedere al deposito, l’artista ricorda di dover usare la password semplice “1234”, concordata per l’appunto per la versione semplice della sceneggiatura. Per il riconoscimento dei volti, gli basta mostrare una foto di Pippo Baudo, noto scopritore di talenti.
La porta del caveau riporta curiosamente la data «dal 1492» (scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo).
Una volta dentro, in tenuta da 007, il protagonista ruba quanto più possibile, ma viene intercettato dalle telecamere di sorveglianza e Boldi dà l’allarme. Rovazzi assume allora una pillola a caso tra quelle che aveva saccheggiato: quella dello chef Carlo Cracco.
Ho tutto in una borsa,
lo so, l’ho fatta grossa,
aspè, vado di corsa.
Una volta acquisite le sembianze di Cracco, in uno stile fluido che ricorda le metamorfosi del supereroe Mystica degli X Men, Rovazzi tenta la fuga dalla banca e inizia così la canzone.
È tutto un copia-incolla:
la moda ci controlla,
sparisco tra la folla.
La riflessione ricade sul fatto che ormai è difficile trovare contenuti e creazioni originali, sia sul Web che in fatto di arte.
Tutto sembra essere un plagio di qualcos’altro, un copia-incolla di frasi e pensieri non propri, una replica continua di altre cose, trincerata sotto il nome di “ispirarsi a”.
Potrei ballare come Bolle,
cantare di felicità,
fare gli incassi di Zalone,
e invece sono ancora qua.
Il protagonista fantastica sul possedere un talento riconosciuto ufficialmente, come quello del ballerino Roberto Bolle o del comico Checco Zalone, rendendosi invece conto di brancolare nel buio e di trovarsi sempre un passo indietro rispetto agli altri più “acclamati”.
E cerco un posto fresco
e prendo qualche abilità,
nei limiti della legalità.
Per trovare un proprio posto nel mondo dei talenti, allora, ispirarsi alle abilità degli altri sembra un’ottima soluzione per sgomitare nel mondo dell’arte.
Faccio quello che voglio,
faccio quello che mi va.
Quest’estate sono fuori controllo
e del testo tanto non ne ho bisogno,
perché con questa voce qua…
Dopo aver seminato temporaneamente le forze dell’ordine che lo inseguivano, Rovazzi approda in un supermercato e, dopo aver “bevuto” la voce di Emma Marrone, usa il microfono alla cassa per cantare il ritornello della canzone.
Tra gli scaffali si trova un ragazzo con una felpa con la scritta “liberato” sul dorso: è un riferimento alla felpa che indossa Liberato, cantante napoletano dall’identità misteriosa e autore della canzone Nove maggio.
Con una voce così bella (un “vero talento”), il brano non ha neanche bisogno di avere un testo con un significato vero e proprio: basterà semplicemente cantare qualcosa, qualsiasi cosa, e ammaliare il pubblico.
Dopo essere sfuggito ai poliziotti, Rovazzi scende nel parcheggio del supermercato ed entra in una Panda rossa. Lì dentro incontra il cantante Eros Ramazzotti, il quale rivuole la propria boccetta di voce indietro e, in cambio, rivela a Rovazzi che per imitare la propria voce basta usare una molletta sul naso (Ramazzotti è rinomato per il proprio timbro “nasale”).
Vado e parto in quarta
e sfuggo dal mio karma,
è uno stato che mi esalta.
Ho voglia di staccare
dall’ansia generale,
tuffarmi dentro il mare.
Rovazzi mette in moto l’auto e si mette in strada, sempre inseguito dai poliziotti.
Metaforicamente, sfugge da coloro che continuamente cercano di etichettarlo, ripartendo sempre a tutta velocità e con l’euforia di chi riuscirà a spezzare lo stereotipo di “senza talento” che gli viene affibiato.
Non ti devi preoccupare, mamma,
sto decollando, devo spegnere,
ti chiamo dopo, devi stare calma,
tanto sono su una Panda.
Sfrecciando con la sua Panda mentre riceve una telefonata dalla propria madre, Rovazzi si catapulta con essa su di una barca, in una classica scena da film d’azione estrema.
Assumendo le sembianze della conduttrice Diletta Leotta e la voce di Nek, canta di nuovo il ritornello della canzone cercando di distrarre i poliziotti.
Non ti aspettavi questa nuova canzone
e ti darò un finale contro ogni previsione,
ma non sono l’eroe delle tue solite storie
e sono contrario a tutti gli spoiler.
Rovazzi guadagna tempo sui suoi inseguitori buttandosi in mare su una moto d’acqua.
Le “solite storie” potrebbero essere un riferimento non solo alle “solite fiabe”, ma anche alle stories di Instagram, brevi video molto utilizzati dalle celebrità per tenere aggiornati i fan sulla propria vita al di fuori del palcoscenico.
Attirati dal male,
l’onestà non ha budget:
tutto ciò che è vietato ci piace.
Sembra che il piano di fuga non sia riuscito, così il cantante si ritrova rinchiuso in gattabuia.
Riflette in merito al fatto che, pur di fare successo, la maggior parte degli artisti venderebbe anche l’anima al diavolo («attirati dal male»).
In termini pratici ciò si traduce con la produzione di contenuti sostanzialmente vuoti di significato, volti solo a massimizzare le proprie vendite.
Facciamo dei modelli sbagliati la normalità,
quindici minuti di celebrità.
Dietro le sbarre incontra Al Bano (in realtà è solo la forma temporanea di Luis Sal, youtuber, che si è trasformato nel cantante), il quale conclude il brano richiamando la celebre e profetica frase di Andy Warhol: «in futuro tutti saranno famosi per 15 minuti».
Rovazzi viene infine liberato, grazie alla cauzione pagatagli da Flavio Briatore.

Il font del titolo di Faccio quello che voglio coincide con quello del celebre film Arancia meccanica di Stanley Kubrick.
Il film affronta molti temi scottanti, tra i quali quello di una società che nasconde i drammi della realtà attraverso i mezzi di informazione di massa. Gli ideali di ribellione e di verità vengono uccisi da chi detiene i poteri di propaganda, usando modalità meschine e terribili per influenzare la realtà.
