Fotografia (Carl Brave, Francesca Michielin, Fabri Fibra)

La notte non è fatta solo di scenari scatenati a suon di musica a palla, bensì anche di momenti di maggiore introspezione.

Nel brusio della città deserta, magari in compagnia di un gruppo di amici stretti con cui aprirsi a improvvise confidenze, ci si sente diversi rispetto al giorno, in cui si è sempre presi da mille impegni e non si ha molto tempo per riflettere sulle piccole e grandi cose che stanno accadendo nella propria vita.

Spiega Carl Brave:

«Io amo e vivo la notte, di notte il mondo cambia, le persone si lasciano andare, si trasformano, e anche i rapporti personali cambiano, sei più consapevole di te stesso. La notte è bipolare: galleggia tra caos e calma piatta, puoi perderti oppure ritrovarti».
—Carl Brave

Fonte: OptiMagazine

Durante una di queste Notti Brave (nome dell’album da cui è tratto il brano Fotografia) l’artista si incontra con Francesca Michielin e Fabri Fibra, tutti e tre in versione cartoonesca e “ingiallita”, in omaggio ai Simpson.

In merito alla collaborazione con Fabri Fibra, Carl Brave dice che:

«Con Fibra è andata da paura. […] Prima di farlo ha chiesto di conoscermi, io sono andato là e tutti che mi dicevano: “Oh attento che Fibra è mezzo pazzo, è uno strano, magari s’incazza”. Allora sono andato là megatimido, ho bevuto 3-4 spritz prima, mi presento e lui, king assoluto, m’ha abbracciato e m’ha messo subito a mio agio».
—Rockit

Fonte: Rockit

I tre organizzano una rimpatriata, come se stessero guardando una fotografia dei vecchi tempi.

Tra loro c’era chi si sentiva “ganzo”, chi soffriva per qualche storia andata male e chi chiacchierava del più e del meno.

Lei fa “M’ama non m’ama” con un quadrifoglio,
noi testardi come onde su uno scoglio.
E tu vieni ma poi non rimani mai:
eravamo querce, mo’ siamo bonsai.

Brave introduce questo incontro con una descrizione che passa in rassegna ciascun componente del gruppo.

C’è una ragazza che, presa dalla sua relazione complicata, sfida la sorte stessa giocando a “m’ama, non mama” usando un quadrifoglio (simbolo di fortuna) anziché una margherita. Usando solo quattro petali, però, l’esito sarà inevitabilmente un “non m’ama”. Simboleggia lo stereotipo della ragazza che le delusioni, forse, un po’ se le attira.

Il gruppo di amici di sente invincibile, complice anche l’età giovanile e gagliarda: essi sono testardi come le onde che si infrangono continuamente sugli scogli, inesorabilmente, senza curarsi di sbattere continuamente contro gli stessi ostacoli.

E poi c’è sempre il componente del gruppo che “viene, ma non rimane mai”, quello o quella che ha sempre qualcos’altro da fare, qualcun altro da incontrare, qualche “affare in sospeso”, ed è fugace come il vento: si fa vedere per un po’ ma, giusto il tempo di girarsi, ed è già sparito di nuovo.

Ascolto il ticchettio di pioggia sul tettino,
in lontananza le sirene: ni-no ni-no.
Allarme della cinta suona all’infinito,
una sigaretta affoga in un tombino.

La notte prosegue al riparo di un’auto, mentre fuori lentamente piove.

Gli unici suoni intorno sono costituiti soltanto dalla chiassosa sirena di un’ambulanza, e dal solito allarme della cintura non inserita, abitudine che, per quanto insana, era probabilmente un “marchio di fabbrica” del guidatore designato.

Tra le altre cose che ricordano quelle magiche serate vi è anche l’immancabile sigaretta – ormai consumata – gettata in un tombino.

Il Tevere pare l’oceano,
noi che viviamo a notte fonda
al mare ci tuffiamo a bomba.

Durante la notte, l’atmosfera evocativa, le luci e le ombre fanno sembrare tutto più maestoso di ciò che è, tanto che il fiume Tevere pare l’oceano.

I ragazzi, sprezzanti del pericolo, per un brivido in più non si ponevano alcun problema a farsi il bagno nel fiume.

Un mio amico che si apre,
giuro che sarò una tomba.
La chiamo un’altra volta,
un’altra volta TIM informa.

In questo quadro di apparente spensieratezza non mancano le confessioni intime di un amico, a cui il protagonista promette di non rivelarne mai a nessuno i segreti.

Anche lui, tuttavia, ha qualcosa che gli frulla per la testa: una ragazza. Mentre ascolta l’amico, allora, prova a inoltrarle l’ennesima chiamata, ma tutto ciò che riceve dall’altro lato è l’avviso di telefono spento.

Su una rotonda Alberto Tomba, suora tua,
dalla prua di un Toyota belli andanti fai manovra.
Qua non si campa d’aria
e non si torna indietro come ha fatto Minala.

Dall’alto del loro “macchinone” Toyota, il gruppo di amici imbocca una rotonda e incrociano un altro guidatore evidentemente più dotato di loro, tanto da appellarlo Alberto Tomba, il quale è un abile sciatore, noto per il suo stile aggressivo in questo sport.

«Suora tua» è un’espressione romanesca che si usa quando si incrocia una suora o, in generale, una sventura, e serve a incanalare la “sfiga” su colui a cui ci si rivolge. È come dire: “la sfortuna adesso la passo a te!”.

Il tempo di queste bravate è trascorso e non è possibile tornare indietro per recuperare i tempi andati.

Invece Minala, giocatore di cui si è pensato avesse molti più anni dei 17 che aveva dichiarato, in un certo senso ha potuto involontariamente avere, per qualche momento, più di una sola età, riuscendo anche a “tornare indietro”.

Voglio un’ora d’aria ed una nuova serie,
fammi una foto e non vedere come viene.
Ti dico “ciao” sopra ad un “ciao”,
smezziamoci una margherita e usciamo a bere.

Subentra ora a cantare Francesca Michielin, la quale rappresenta la ragazza del gruppo sempre presa dalle questioni amorose di un amore forse non proprio corrisposto.

Il suo desiderio è di trascorrere una serata leggera, in compagnia degli amici e magari di una serie TV.

Forse però, nella comitiva, è presente anche il ragazzo che le piace: i due si salutano contemporaneamente con un “ciao”, come nelle classiche situazioni un po’ imbarazzanti in cui non si sa esattamente cosa dire e quando.

Lei gli chiede di scattarle una foto, senza però guardarla per evitare forse di non piacersi, per poi decidere di condividere una pizza margherita e bere qualcosa insieme.

Ho i tuoi occhi rossi in tasca sul rullino,
piango senza parabrezza in motorino,
Ma tanto io e te, dai negativi, sì,
ne usciamo fuori bene.

Per gli scatti i due hanno usato una Polaroid, e lei, forse dopo un litigio, si ritrova a piangere guardando i negativi delle foto.

Dai “negativi”, però, escono entrambi bene: sia che si tratti di quelli delle foto, sia che si parli di “momenti negativi”.

Esco di casa solo se ho cose da fare,
perché fuori perdo sempre il mio cellulare.
Tengo sotto controllo il problema, è normale,
so che dovrei cambiare sistema solare.

Adesso è /tag/fabri-fibra

a raccontare il suo punto di vista sulle cose, affermando sostanzialmente di sentirsi un po’ fuori dal mondo e poco in sintonia con ciò che c’è attorno a sé, al di fuori del suo spazio intimo e personale.

Il mondo è pieno di hater e già lo sai,
sorridi in foto così li confonderai.
Nessuno crede veramente in ciò che fai,
spero che Dio mi tenga lontano dai guai.

Lo sfogo verte poi sui social e sull’importanza sempre maggiore che rivestono nella nostra vita.

Si pensa solo a sbaragliare gli haters (gli “odiatori”, o meglio i rosiconi) pubblicando foto in cui si sorride, ma non ci si rende conto che non c’è nessun hater e che, spesso, siamo noi stessi a crearci i nemici nella nostra testa, per un bisogno di attenzione.

Inoltre non ci si rende conto che, visto che mostrarsi con una facciata è la norma, a nostra volta sappiamo che gli altri si espongono in modo altrettanto stuccato.

Quanto stai bene con quella maglietta Fila.
Ho preso un disco solo per la copertina.
Mille messaggi, sempre la stessa faccina,
ma se non usi i social nessuno si fida.

Le mode hanno preso il sopravvento: ci si veste sempre con le stesse marche o firme e si acquista un disco solo perché è stato ampiamente pubblicizzato.

La moda è anche usare i social e, nonostante a pensarci sia inquietante il fatto che tutti ci esprimiamo usando sempre le stesse emoji, non farlo significa essere una voce fuori dal coro, un outsider.

La moda è bella, ma ci rende tutti uguali,
chissene frega, guarda ho preso questi occhiali.
Restiamo qui a parlare d’arte e di film vari
finché Marte non ci separi.

A prescindere che si decida o meno di seguire ciò che tutti fanno, si può comunque trascorrere una piacevole serata in compagnia parlando di cose più o meno conosciute, più o meno mainstream. L’arte e i film, fortunatamente, permettono di spaziare anche tra chicche meno popolari.

«Finché Marte non ci separi» è chiaramente un gioco di parole con la nota formula di chiusura del giuramento di matrimonio.

E se non me lo dici ti lancio un 3310,
come un sasso in un laghetto dentro la città.
Andiamo al cinema all’aperto con il cuore un po’ scoperto,
come un Polaretto sciolto nella macchina.

La Michielin apre le ultime strofe con un criptico «e se non me lo dici…». Forse vorrebbe che il suo lui le confessi il suo amore o che, perlomeno, le dia una speranza. Se non lo farà, lo “minaccia” di lanciargli un Nokia 3310, telefono notoriamente resistente, tanto da essere paragonato a un lancio di una pietra nel lago.

Lei gli propone di guardare un film insieme al drive-in, confidando di potersi ritrovare più vicina affettivamente al suo interesse amoroso, emozionandosi a tal punto da sentirsi come un Polaretto sciolto.

E mentre non mi guardi ti scatto una foto,
e quando poi ti sposti ti do un bacio a vuoto.

Lei è talmente ammirata da lui da scattargli una foto a tradimento ma, sul più bello, quando si è finalmente decisa ad avvicinarsi per dargli un bacio, lui si scansa.

…Sembra proprio che il “m’ama, non m’ama” non abbia funzionato.

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