La cura (Franco Battiato)

Una favola di Igino detto l’Astronomo, scrittore romano del I secolo d.C. e autore delle Fabulae (una raccolta di brevi storie mitologiche), inizia così:

La Cura, mentre stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso; pensierosa, ne raccolse un po’ e incominciò a dargli forma.

A cosa stava dando forma questa Cura? Ma, soprattutto, cos’ha a che fare questo mito con la celebre canzone di Franco Battiato, tratta dall’album L’imboscata del 1996 e a cui abitualmente si attribuisce il senso di intensa e universale canzone d’amore? La fabula continua così:

Mentre è intenta a stabilire che cosa abbia fatto, interviene Giove. La Cura lo prega di infondere lo spirito a ciò che essa aveva fatto. Giove acconsente volentieri. Ma quando la Cura pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e pretese che fosse imposto il proprio. Mentre la Cura e Giove disputavano sul nome, intervenne anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché aveva dato ad esso una parte del proprio corpo.
La Cura infatti stava plasmando la sua creatura impastando del fango.

I disputanti elessero Saturno a giudice.

Saturno era il padre di Giove e re dei Titani. Come narrato dal poeta greco Esiodo nel suo poema Le opere e i giorni, ai tempi di Saturno gli esseri umani si trovavano in una condizione di totale beatitudine: erano sostanzialmente degli dèi in terra, immuni alla fatica fisica e mentale, oltre che alle malattie. Pur non essendo immortali, invecchiavano senza perdere vigore fisico e la terra dava loro ogni genere di risorsa utile alla sopravvivenza, senza alcuno sforzo.

Essi si trovavano nell’Età dell’Oro, la prima delle cinque ere dell’umanità, secondo Esiodo. Attraverso le successive ere (dell’Argento, del Bronzo e degli Eroi), gli esseri umani avrebbero cambiato di volta in volta indole e ruoli, rimanendo però pur sempre dei semidèi o comunque degli esseri privilegiati.

Soltanto nell’ultima (nonché attuale) era, l’Età del Ferro, gli umani sarebbero diventati una stirpe vulnerabile, effimera, che patisce il dolore fisico e mentale, la miseria, la sofferenza e la malattia ed è costretta a lavorare ai fini della sopravvivenza. Si colloca forse proprio qui l’atto della Cura di dar forma alla sua creatura fatta di fango e vita – cioè corpo e spiritualità: l’essere umano come noi lo conosciamo.

La questione venne quindi delegata a Saturno,

[…] il quale comunicò ai contendenti la seguente giusta decisione: “Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, finché esso vive lo possieda la Cura. Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo poiché è fatto di humus (Terra).

Pur non essendo riuscita a conferirgli il proprio nome, sarà comunque la Cura a possedere l’essere umano per tutto l’arco dell’esistenza di quest’ultimo. Ma che cosa rappresenta esattamente la Cura? In latino – lingua in cui è stata scritta la fabula – la parola Cura si presta ad un doppio significato: quello di cura per come comunemente viene inteso («dedizione, premura») e quello di «inquietudine, angoscia». Secondo il mito, dunque, è l’Inquietudine ad aver creato e a possedere l’uomo per tutta la vita.

La Cura di Battiato potrebbe quindi essere un messaggio d’amore – una sorta di testamento da parte dell’Inquietudine (Cura) nell’atto della creazione dell’essere umano nella sua forma ultima e più miserevole (Età del Ferro), ma anche più speciale («perché sei un essere speciale»), in quanto lontana dall’aura d’invincibilità dei suoi predecessori semidivini.

L’inquietudine è infatti un sentimento connaturato nell’uomo, che si scontra con essa nel momento in cui si ritrova – volente o nolente – a toccare il pensiero della morte o a riflettere sul senso dell’esistenza umana. È, paradossalmente, la sensazione più vivida che si prova quando si cerca sfiorare il senso della vita, giacché, per dirla con lo scrittore portoghese Fernando Pessoa nel suo Libro dell’inquietudine,

[…] vivere è morire, perché non abbiamo un giorno in più nella nostra vita senza avere, al contempo, un giorno in meno.

Il mito di Igino viene ripreso dal filosofo tedesco del ‘900 Heidegger nella sua opera Essere e tempo, in cui il concetto di Cura viene ampliato e intrecciato con la questione dell’Essere (Sein) e dell’Esserci (Da-Sein). Semplificando qui in modo estremo questa parte del suo pensiero, secondo il filosofo l’uomo è l’unico ente a rendersi conto di esistere (cioè di Esserci) e il modo in cui tutta la sua esistenza si realizza è attraverso il prendersi cura.

Ciò non è da interpretare in senso letterale: prendersi cura, secondo Heidegger, significa essere in continua relazione con il mondo (sia con gli oggetti che con le altre persone) ed essere costantemente portati ad utilizzare gli strumenti che esso mette a nostra disposizione. La cura nei confronti degli altri, dai quali l’essere umano è e sarà sempre esistenzialmente circondato, può essere finalizzata sia a rendere qualcuno dipendente dal proprio aiuto oppure, viceversa, ad aiutarlo a raggiungere una propria consapevolezza, autonomia e libertà. È chiaro che La cura di Battiato segue quest’ultimo percorso.

Il testo de La cura potrebbe essere letto, dunque, in chiave mitologica, come fosse un accorato monologo da parte dell’essenza stessa che possiede l’uomo, l’Inquietudine (Cura), rivolto con benevolenza e protezione verso questo essere così fragile, gettato violentemente nel mondo.


Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via

La Cura – nella canzone – inizia con il rassicurare la sua creatura che, non più invincibile come le ere precedenti, è ora “ipocondriaca”, in quanto conscia di poter contrarre ogni genere di malanno e del fatto che «da oggi», a differenza del passato, sarà esposta a pericoli e angosce.

dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo

Viene promessa all’essere umano protezione anche dalle cattiverie dei suoi stessi simili. Esiodo, ne Le opere e i giorni, sottolinea proprio che nell’Età del Ferro (cioè il nostro tempo)

[…] il diritto starà nella forza e l’uno all’altro saccheggerà la città. Né il giuramento sarà rispettato, né lo sarà chi è giusto o per bene; piuttosto, rispetteranno l’autore di mali e l’uomo violento; la giustizia sarà nella forza, e coscienza non vi sarà; il cattivo porterà offese all’uomo buono dicendo parole d’inganno e sarà spergiuro; l’invidia agli uomini tutti, miseri, amara di lingua, felice del male, s’accompagnerà col volto impudente.

La canzone continua con:

dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai
ti proteggerò dai dolori e dagli sbalzi d’umore
dalle ossessioni delle tue manie

La promessa si estende anche a tutte le altre negatività che, vista la nuova natura dell’uomo, egli si attirerà e che, contemporaneamente, faranno anche parte di lui.

Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare

I buoni propositi del creatore dell’uomo vertono anche sull’impegno a non farlo invecchiare, in quanto ciò, a differenza dei tempi passati in cui l’invecchiamento non portava infermità fisica, significherebbe ulteriore sofferenza. Il tema dell’invecchiamento appare in Esiodo mentre parla dello sprezzo nei confronti dei genitori ormai con tanti anni sulle spalle e divenuti, quindi, deboli:

[…] ingiuria faranno ai genitori appena invecchiati […] né ai genitori invecchiati di che nutrirsi daranno.

Torna il riferimento alla malattia, quindi alla vulnerabilità:

E guarirai da tutte le malattie
perché sei un essere speciale
ed io avrò cura di te

La canzone giunge al culmine quando il mittente di questo amorevole messaggio spiega a chi lo riceve che il motivo per cui fa tutto ciò per lui è «perché sei un essere speciale», diverso da qualsiasi altro lo abbia preceduto.

Vagavo per i campi del Tennessee
come vi ero arrivato, chissà

Questi versi (che, secondo un aneddoto del cantante raccontato durante il suo concerto a Pavia nel settembre 2011, qualcuno ha invece scambiato per «vagavo per i campi di tennis») potrebbero essere un riferimento alla libertà per la quale i nativi indiani americani hanno cercato di lottare durante le guerre indiane – svoltesi anche in Tennessee – durante il XVIII e XIX secolo. Franco Battiato era infatti appassionato della cultura indiana d’America sin dai tempi in cui suonava nella sua band Osage Tribe (fonte: supereva.it).

Il Tennessee è anche una varietà di whiskey che, dopo la distillazione, viene filtrato con acero bianco carbonizzato. Ciò potrebbe ricollegarsi al successivo verso

Non hai fiori bianchi per me?

sebbene di bianco l’acero abbia solo le foglie, mentre i fiori sono verde-giallastri.

I fiori bianchi potrebbero essere inoltre un riferimento al fiore di loto bianco, che nella simbologia buddhista (cara a Franco Battiato, come egli stesso asserisce in questa intervista) simboleggia la capacità di mantenersi intatti dalla corruzione e la forza vitale di rigenerarsi. In poche parole,

essere come il loto non vuol dire non accorgersi dei problemi della vita, ma significa saperli affrontare e superare senza lasciarsene travolgere o condizionare (hydrophyllum.it).

Un altro fiore sotto i riflettori potrebbe essere quello del giglio (lilium), il cui significato esoterico coincide con quello di crescita personale, libertà e progresso. Nel linguaggio dei Tarocchi esso compare nell’Asso di Denari, nel Mago (Bagatto) e nella Temperanza e simboleggia purezza, innocenza e fertilità.

Nella simbologia religiosa cristiana, il giglio è il fiore che Giuseppe teneva con sé quando Maria lo notò tra la folla e lo scelse come suo sposo. Ciò potrebbe acquisire senso se la canzone venisse letta in chiave religiosa, come un messaggio inviato all’uomo da parte di Dio o della Madonna.

Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare

Si aggiungono poi altri due simboli, l’Aquila e il Mare. L’Aquila è anche detta uccello di fuoco, per la sua capacità di guardare il Sole dritto negli occhi senza bruciarsi e assimilarne la potenza. È anche uno dei quattro simboli di Giove – gli altri sono la folgore, il toro e la quercia. Il Mare è di solito assimilabile alla vita e al senso imperscrutabile della stessa, oltre che all’inconscio umano – altrettanto insondabile.

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza

I versi riprendono con le promesse dei doni: tra di essi, verranno privilegiati «il silenzio e la pazienza». Verranno inoltre suggerite le possibili strade per comprendere il senso della vita, l’essenza, senza tuttavia accennare ad un effettivo arrivo alla meta. D’altronde, nella vita, ciò che conta sembra essere il tendere alla sua essenza, data la probabile impossibilità di arrivarci.

I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi
la bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi

Per la prima volta, poi, mittente e destinatario vengono posti sullo stesso piano tramite la parola – usata due volte – «nostri». Non è più “io a te” bensì “io e te”. L’energia (i «profumi d’amore») di creatore e di creato volta a trovare l’essenza si fondono, e nemmeno la «bonaccia d’agosto» (letteralmente l’assenza di vento, metaforicamente la serenità dello spirito) acquieterà la sete di ricerca.

Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco le leggi del mondo e te ne farò dono

Poeticamente, vengono rivolti altri amorevoli versi al destinatario di questa dichiarazione di cura, insieme all’impegno di infondergli tutta la saggezza possibile.

Ti salverò da ogni malinconia
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te
Io sì, che avrò cura di te

In conclusione, la Cura salverà il suo beniamino da qualsiasi minaccia, ribadendo il carattere unico e speciale, quindi meritevole, di quest’ultimo.


Il video della canzone mostra di volta in volta varie persone che provano sentimenti diversi: dalla riflessione all’inquietudine, dalla contemplazione alla felicità.


Al di là delle varie speculazioni mitico-filosofiche, La cura resta una delle più sentite (in ogni senso) canzoni d’amore contemporanee.

Scrive Manlio Sgalambro, coautore de La cura, nella prefazione del libro Franco Battiato. Un sufi e la sua musica di Guido Guidi Guerrera:

Per parlare di «amore» bisogna parlare di qualche altra cosa. Noi abbiamo fatto una canzone considerata unanimemente d’amore, parlando di «cura», di “protezione”, di mani che accarezzano i capelli come trame di un canto».

Il testo, inoltre, si presta a dedica ad una persona malata: riascoltare il brano con questo approccio lo rende altrettanto realistico (specie considerando come il concetto di cura si contrapponga a quello di malattia).

[icon name=”youtube-play”] Cover artisti per la donazione degli organi 2007
[icon name=”youtube-play”] Cover di Adriano Celentano
[icon name=”youtube-play”] Cover live di Noemi

Testo
LA CURA

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai

Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare

E guarirai da tutte le malattie
perché sei un essere speciale
ed io avrò cura di te

Vagavo per i campi del Tennessee
come vi ero arrivato, chissà
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza
I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi
la bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi

Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco le leggi del mondo e te ne farò dono
Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare

Ti salverò da ogni malinconia
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te
Io sì, che avrò cura di te

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