Quando una storia finisce, non sempre si è propensi a lasciarla andare con leggerezza.
L’allontanamento da una persona importante è una delle situazioni più dolorose a cui si può andare incontro. Se in tale abbandono permane ancora uno spiraglio di risoluzione, allora ci si appiglia a qualsiasi cosa pur di conquistare di nuovo la presenza dell’altro.
Si va dalla scusa più banale pur di rivedersi, alla consapevolezza che è un peccato rinunciare a un rapporto che è stato costruito con così tanta dedizione.
Proprio questa presa di coscienza porta l’autore del brano a muovere una riflessione sul fatto che, spesso, non si apprezza quello che si ha (comprese le relazioni) e non ci si rende conto che, nella vita, non è necessario procacciarsi sempre il ruolo da protagonisti.
A volte, per essere felici, bisogna esplorare quello che già si ha e imparare a coltivarlo, anche se dovesse trattarsi di un ruolo apparentemente secondario come quello di Robin, braccio destro del supereroe Batman.
Cremonini racconta la creazione del brano in un post su Facebook. Qui ne viene riportato uno stralcio:
Eccomi davanti al portone di una donna perduta. Davanti al rifiuto di una felicità ovvia. Meritata. Mai avvenuta. Come mai sono venuto stasera? Bella domanda. Ero lì per cercare rifugio. Rifugio dalla tempesta. Dentro a questa canzone, io credo ci sia tutto quello che ho perso e non ritrovato. Il rifiuto che si compie con la scusa del cane apre un’altra porta.
Come mai sono venuto stasera? Bella domanda
Se ti dicessi che mi manca il tuo cane, ci crederesti?
Che in cucina ho tutto tranne che il sale, me lo daresti?
Al protagonista della canzone manca la donna che aveva accanto e decide di andare a trovarla.
Lui stesso si domanda il perché si ritrovi ancora lì, davanti a quella porta, a elemosinare l’affetto di lei. Forse lo fa perché è ancora innamorato.
Per evitare l’imbarazzo cerca delle scuse. Una di queste potrebbe essere che sente la mancanza del cane di lei, ma sa che non verrebbe creduto. Un’altra è che gli manca il sale, come nella classica scena in cui si va dal vicino a chiedere un ingrediente di cui al momento non si dispone.
C’ho una spina in gola che mi fa male.
Fammi un’altra domanda, ché non riesco a parlare.
Quando lei, dopo tutte queste labili motivazioni, gli chiede il reale motivo della visita, lui non riesce a rispondere.
Ammetterne la ragione sarebbe come affrontare la dura realtà dei fatti.
Quel che vorrei dirti stasera è… non ha importanza,
è solo che a guardarti negli occhi mi ci perdo.
Cerca allora di comunicarle il suo disagio, ma non riesce mai ad andare oltre le prime parole e si blocca.
Tutto ciò che riesce a fare è perdersi guardandola negli occhi.
Quando il cielo è silenzioso e mi nevica dentro,
se giurassi di dormire con te, non toccarti.
Il protagonista percepisce il proprio cuore freddo («mi nevica dentro») e non riesce ad andare avanti perché si sente arido, gelido, tanto che alla fine le propone di farlo restare a dormire lì da lei, anche solo come amici, pur di continuare a intrattenere un qualche tipo di rapporto.
Ma certo, puoi dormire col cane.
Evidentemente l’uomo può già immaginare la risposta, per cui, un po’ risentito, rimarca come lei preferisca rimanere in compagnia del proprio cane.
Sai quanta gente ci vive coi cani e ci parla
come gli esseri umani, intanto i giorni che passano accanto
li vedi partire come treni che non hanno i binari,
ma ali di carta.
A questo punto il protagonista riflette sul fatto che lei ha deciso di non dargli una possibilità, scegliendo di dormire con il cane per punire l’uomo e tenerlo lontano dalla sua vita, ma in realtà sono tanti gli esseri umani che davvero non hanno qualcuno che li ami e si rivolgono ai cani. Parlano con loro perché non hanno altri a cui rivolgersi.
La vita, infatti, scorre inesorabile e spesso si rimane in completa solitudine.
Se si pensasse in quest’ottica, si capirebbe che nella vita bisogna accogliere tutto ciò che di bello ci viene offerto, comprese le relazioni interpersonali per noi positive, per non finire a isolarsi schiacciati dall’orgoglio.
I giorni, intanto, passano come treni che vanno via e non tornano più. Sono treni che non hanno binari né certezze, non seguono un cammino preciso e quasi volano, ma le loro ali sono di carta, cioè sono fragili, evanescenti. Potrebbero abbandonarci da un momento all’altro perché si spezzano facilmente.
I giorni a venire e l’illusione di controllare il proprio futuro sono sogni effimeri, che non hanno niente che li leghi alla realtà.
E quanti inutili scemi per strada o su Facebook
che si credono geni, ma parlano a caso,
mentre noi ci lasciamo di notte e piangiamo
e poi dormiamo coi cani.
Sembra che la vita ci abbia condotto a non apprezzare più quello che si ha, tanto che ci sono persone inette, sciatte, sia per strada che sui social, che si credono invincibili solo perché protette da un’immagine di strafottenza o da uno schermo.
È come se l’uomo volesse dirle: “Mentre ci sono alcuni che si comportano in questo modo superficiale e arrogante, noi che abbiamo la fortuna di aver condiviso un rapporto forte e bello, ci lasciamo, sprezzanti di quello che abbiamo. Piangiamo perché ci rimaniamo male, ma decidiamo comunque di restare in solitudine («dormiamo coi cani»)”.
Ti sei accorta anche tu che siamo tutti più soli?
Tutti con il numero 10 sulla schiena e poi sbagliamo i rigori.
Egli le fa notare che nella vita si è già da soli, perché la vita stessa ci conduce a esserlo.
Ci sentiamo fin troppo convinti di ciò che facciamo ma, in realtà, brancoliamo nel buio proprio nel momento in cui dovremmo dare il meglio di noi stessi, ad esempio nelle nostre relazioni.
La maglia n. 10 è un riferimento al fatto che questo numero, in ambito calcistico, sta ad indicare il giocatore che fa da punto di riferimento di una squadra, anche detto “capitano”.
Dunque tutti ci sentiamo una promessa, un leader su un campo di calcio che crede di condurre il gioco, ma che poi sbaglia come tutti gli altri, magari proprio all’atto di un tiro decisivo.
Ti sei accorta anche tu che in questo mondo di eroi
nessuno vuole essere Robin?
Ci sentiamo tutti eroi e nessuno vuole essere il secondo, una figura che sta dietro le quinte, del quale si dice poco ma che fa tanto.
E certo che è proprio strana la vita, ci somiglia,
è una sala d’aspetto affollata e di provincia.
La vita è come una sala d’aspetto: si aspetta che le cose vadano meglio. È piena di persone, tutte simili tra loro, in cui nessuno si distingue veramente («di provincia»), anche se ognuno lo crede.
C’è un bambino di fianco all’entrata che mi guarda
e mi chiede perché,
perché passiamo le notti aspettando una sveglia.
Le persone più innocenti, come ad esempio i bambini, a volte si chiedono il perché di certe scelte strane da parte degli adulti, o dei genitori stessi.
A volte, nei momenti di maggiore introspezione, ci si domanda perché sembriamo automi che seguono una routine.
Di notte, anziché sognare (anche in senso figurato), si aspetta il trillo della sveglia.
Si è sempre in continuo movimento, come se avessimo sempre qualcosa da fare.
Ci prendiamo una cotta per la prima disonesta,
complichiamo i rapporti come grandi cruciverba
e tu mi chiedi perché.
Piuttosto che innamorarci di una persona affine, ci innamoriamo di quella che è la più disonesta, pronta a farci del male.
Invece di vivere dei rapporti felici, li complichiamo, come quei cruciverba molto articolati e difficili.
Fammi un’altra domanda, ché non riesco a parlare.
Questo è ciò che lui avrebbe voluto dirle, ma non lo fa.
Sai quanta gente sorride alla vita e se la canta
aspettando il domani, intanto i giorni che passano accanto
li vedi partire come treni che non hanno i binari,
eppure vanno in orario.
In questa parte di canzone, in contrapposizione alle prime strofe di stampo più rammaricato, si ha un pensiero di speranza.
Rispetto a tutto quello che stiamo vivendo c’è anche la possibilità di sorridere e aspettare il domani come qualcosa di positivo.
Anche se i giorni passano e li vediamo partire come treni eterei («treni che non hanno i binari») che camminano nel vuoto senza un obiettivo, malgrado ciò hanno comunque una cadenza.
La vita stessa è cadenzata: è una continuità e questo suo aspetto non può fermarlo nessuno.
I treni della vita «vanno in orario» perché la vita presenta un’unica certezza, che è la sua continuità. A prescindere da ogni complicazione esterna o che creiamo noi, questo suo aspetto non può fermarlo nessuno.
Come mai sono venuto stasera?
Bella domanda.
La canzone diventa quindi tutto ciò che avrebbe voluto rispondere alla domanda di lei “come mai sei venuto stasera?”.
Il video della canzone mostra Cesare Cremonini che si prepara ad andare in scena e ha già le idee chiare su quella che sarà la sua parte.
Tuttavia, avendo altro da fare, affida momentaneamente il proprio copione a un assistente.
Quest’ultimo, come da sceneggiatura, declama le sue battute alla co-attrice. Dopo che il lavoro è fatto (e anche egregiamente), Cremonini torna in scena, ringrazia il sostituto e lo mette da parte, prendendosi i meriti e i plausi da vero protagonista.
L’assistente, a quel punto, prende coscienza che dovrà rientrare nel proprio ruolo, cioè quello di essere un semplice “secondo”, pronto ad appoggiare l’eroe quando necessario.
Indossa allora la maschera da Robin ma, quando dietro le quinte nota l'”eroe” Cremonini che bacia la protagonista, si rende conto che non c’è spazio per lui.
Lo spettacolo inizia e lui abbandona il teatro, lasciando gli applausi all’eroe ma scoprendo, fuori da lì, una vita libera da ruoli precostituiti.
Al di là del significato vero e proprio, il brano sembra rispecchiare molto bene quel momento in cui l’unico pensiero è quello di riappacificarsi con una persona e ogni altra cosa perde d’importanza, per cui si iniziano tante riflessioni del tipo “guarda quante cose brutte ci sono nel mondo, e guarda invece cosa di bello stiamo buttando via io e te”.