Una collaborazione, che sarebbe stata storica per il mondo della musica, finita per un lama che passeggiava in studio. Potremmo descrivere in breve così, ironicamente ma non troppo, una parte della vicenda che sta dietro questa canzone. Come ben spiegato in questo documentario (in italiano), Freddie Mercury e Michael Jackson avevano iniziato insieme a lavorare, tra il 1982 ed il 1983, su «There must be more to life than this», ma il progetto non fu completato in quanto Mercury non si trovava a proprio agio con alcuni modi operandi di Jackson quale, appunto, il portare un lama durante le registrazioni.
La traccia finì per uscire come brano dell’unico album da solista di Freddie Mercury, «Mr. Bad Guy», cantato solo da se stesso. Circola, tuttavia, anche una versione di Michael Jackson da solista, con Mercury che suona il piano e accenna alcune parole in sottofondo. Entrambe presentano un testo impercettibilmente variato rispetto alla versione ufficiale di Freddie Mercury.
Una versione ufficiale del duo Mercury/Jackson è uscita a novembre 2014 con la raccolta «Queen Forever» dei Queen. Il produttore della traccia per il nuovo disco è William Orbit, conosciuto per le collaborazioni con altri importanti personaggi del panorama artistico. Egli ha dichiarato, per Rolling Stone: «Quando l’ho suonata per la prima volta nel mio studio, ho aperto un forziere di delizie fornite dai più grandi musicisti. Ascoltare la voce di Michael Jackson era entusiasmante. Così vivida, così fresca, e intensa, era come se fosse in studio cantando live. Con la parte solistica di Freddie sul mixing desk, il mio apprezzamento per il suo regalo è stato portato ad un livello persino più alto». È possibile ascoltarla in questa pagina o in fondo alla pagina.
Il testo: contro la guerra e le cattiverie
Il testo della canzone è un inno contro la guerra e le ingiustizie che si perpetrano nel mondo. Il cantante, come un mantra, si ripete che «deve esserci di più di questo nella vita» («there must be more to life than this»): dev’esserci qualcosa di più del semplice vivere fine a sé stesso («there must be more to life than living») ma, soprattutto, dev’esserci un modo per smettere di uccidere («there must be more to life than killing»).
Il cantante si chiede come sia possibile che il mondo sia un posto così brutto in cui trovarsi, dove l’amore è ridotto all’osso («how do we cope in a world without love») rispetto all’enorme mole di sofferenza che gli esseri umani vivono: «rammendando tutti questi cuori infranti / e prendendoci cura di quei visi piangenti?» («mending all those broken hearts / and tending to those crying faces?»). L’esistenza non può ridursi alle questioni, ad esempio, del colore della pelle («why should it be just a case of black or white?»), costringendo le persone a morire per affermare i propri diritti («people fighting for their human rights»).
Sembra che tutto questo scenario, ormai, ci sia così familiare da esserci semplicemente rassegnati, concludendo ogni nostro sogno di un mondo migliore con un asettico «c’est la vie» («è la vita»). Ma il cantante non si rassegna: egli vive e spera ancora in un mondo «colmo d’amore», in cui poter vivere tutti in fratellanza («I live and hope for a world filled with love / then we can all just live in peace»).