Un giorno in più (Irama)

Il rapporto tra genitori e figli non è sempre facile o lineare. Ci sono, a volte, parole a metà, aspettative mancate e sensi di colpa, sia da una parte sia dall’altra.

Ci si mette poi la preoccupazione che, da figli, si ha nei confronti di queste figure che ci hanno riempito (si spera) d’amore ma che, superata l’infanzia, ci si rende conto essere “deboli” proprio come noi.

Non sono invincibili, come ci facevano credere per amor nostro. Anche loro perseguono la felicità e, spesso, non sanno come raggiungerla.

Arriva dunque un momento in cui sono i figli a restituire ai genitori la saggezza e la cura ricevuta.

Irama, pseudonimo di Filippo Maria Fanti e concorrente della 17a edizione del talent Amici, scrive Un giorno in più dedicandola a suo padre e impostandola come fosse un dialogo mancato tra genitore e figlio, dal punto di vista di quest’ultimo.

Quante cose che non sai,
quante cose ti direi.

Si rivolge al papà confessandogli ciò che di presenza non riuscirebbe mai a dirgli.

Malgrado il padre abbia sempre cercato di sembrare una persona forte, in realtà il figlio si rende conto della vulnerabilità del padre stesso come persona. Vorrebbe dirgli che ha capito che cosa lo assilla e desidererebbe confortarlo.

Nascondi un sospiro per non darmi l’ansia.

Si accorge anche che il padre, stanco, cerca di non far trasparire il proprio abbattimento, trattenendo ogni cosa che possa far trapelare il minimo segno di fiacchezza.

La tua vita non la farò mai,
tu mi dici “te la caverai”
E asciughi una lacrima dalla mia guancia.

Resosi conto della fatica a cui si sottopone il padre, l’autore promette al genitore e a se stesso che cercherà di avere una vita diversa, con meno preoccupazioni e assilli.

Rammenta anche che il padre, rivolgendosi a lui, gli dice che nella vita se la caverà.

Quando il padre vede il figlio sconfortato, lo incoraggia ad andare avanti nella vita, e colma questi momenti asciugandogli amorevolmente una lacrima di tristezza dal viso.

Mi hai insegnato a perdere e ora non puoi perdere più,
mi hai insegnato a vivere, ora devi farlo anche tu.

Dentro di sé si rivolge sempre al padre ringraziandolo per gli insegnamenti e lo sprone che gli ha dato per la vita.

Gli è grato di avergli insegnato a stare al mondo e sogna di ricambiarlo, trasmettendogli la stessa voglia di vivere e andare avanti.

Anche se brucia un taglio passa, lo so,
ma lascia un segno dentro di me.

La vita ferisce spesso e, a volte, lascia anche il segno, pur se apparentemente si è guariti. Al pari del bruciore del taglio che passa in fretta, le cicatrici restano.

Tra i miei ricordi e polvere,
quanti sforzi hai fatto per
un giorno in più.

Ricorda i sacrifici del padre per andare avanti con sofferenza pur di andare avanti ogni giorno.

Un taglio passa lo so,
ma lascia un vuoto dentro di me.

I traumi della vita, oltre che tracce indelebili del loro passaggio, spesso lasciano anche un vuoto difficile da colmare di emozioni felici.

Giuro, non cambierà per me,
resterò senza di te
un giorno in più.

Questi insegnamenti e spaccati di vita del padre, questi ricordi nitidi della vita da lui condotta pur di mandare avanti il figlio, Irama non li dimenticherà mai, anche perché lui stesso è il frutto di questo modo di fare del padre.

Anche quando un giorno l’artista rimarrà da solo (quando il padre non ci sarà più), sarà sempre memore di ciò che avrà fatto il genitore per lui.

È come se dicesse: “Quel giorno in più che tu hai passato per farmi andare avanti, io continuerò a farmelo bastare anche nel tuo ricordo”.

Quante cose che non so,
quante cose che ti chiederei,
restiamo in silenzio guardandoci in faccia.

Le difficoltà che a volte si hanno nel comunicare tra genitori e figli fa sì che tante domande rimangano dentro, come imbozzolate, chiuse in uno scrigno. Non si riesce a farle venire fuori.

A volte con uno sguardo, nel silenzio più completo, guardandosi negli occhi si chiederebbero tante cose, sperando di farsi capire almeno in questo modo.

Spero almeno che mi capirai
se non so chiederti come stai,
e cade una lacrima sulla tua giacca.

Nell’impossibilità di intrattenere un dialogo aperto e sincero col padre, alla fine l’autore si rende conto che quest’ultimo ha capito.

Lo intuisce dal fatto che al padre scappa una lacrima: è commosso di aver visto negli occhi del figlio un tentativo di sintonia ed è come se il figlio avesse parlato stando in silenzio.

Anche se il protagonista non riesce a esprimere la tipica domanda convenzionale del “come stai” e non è in grado di portare avanti le convenzionalità tra padre e figlio, in realtà basta solo un silenzio, uno sguardo per farsi tante domande e per avere tante risposte da parte del suo interlocutore.

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